mercoledì 26 febbraio 2014

Se questa è una donna. Lo spettacolo teatrale

SE QUESTA È UNA DONNA

Se questa è una donna è la trasposizione teatrale dell'omonimo romanzo di Luca Attanasio in 
forma di due monologhi e un'epistola per voce e corpo femminili, la cui partitura drammaturgica 
esiste e vive grazie a quella musicale. 
Si tratta di tre storie vere, tre realtà nate inizialmente in forma di romanzo in bellissime pagine 
dotate di cruda quanto amorevole pregnanza che continuano dunque a donarsi sul palcoscenico, 
dietro una loro esplicita richiesta, stante l'urgenza morale, civile e soprattutto umana non 
rinviabile di (ri)presentarsi in un contesto necessariamente performativo. 
In scena, le tre protagoniste interpretate da Mariangela Imbrenda, odierne eroine tragiche, sorelle 
per nulla minori di numerosi personaggi femminili resi immortali dai classici della drammaturgia 
mondiale, rivendicano il diritto, atrocemente negato, di narrare le loro vicende, esprimersi ed 
essere comprese. 

Siamo le profughe universali. I nostri nomi sono Shirin, Yergalum, Aminata. Fateci spazio. 
Abbiamo la nostra storia da raccontarvi. Aprite bene occhi ed orecchi...
Fino ad ora, in quanto donne e prima di tutto esseri umani, hanno visto in terra, sul corpo e nel 
cuore ripetutamente violati e straziati, il vero volto della morte: condannate a soffrire dai governi 
delle terre d'origine, dai carnefici incontrati lungo i viaggi della speranza, da leggi non scritte dei 
clan di appartenenza o da norme ben codificate dei Paesi di approdo, oltre ogni ammissibile, sopportabile e 
spesso immaginabile limite, hanno subito torture e violenze estreme per esser così silenziate e 
ridotte a non vivere più. 
Fino ad ora, però in quanto donne e prima di tutto esseri umani, non hanno mai smesso di 
combattere. Senza armi hanno vinto contro tutto l'orrore del mondo, continuando ad amare la vita, 
la libertà, la bellezza ovunque essa potesse risiedere o venir cercata. 
Diversissime per origine e storia, l'iraniana Shirin l'etiope Yergalum e l'ivoriana Aminata sono 
accomunate dall'essere giunte in Italia, dove provano, senza perdersi d'animo a riannodare i fili 
delle loro esistenze spezzate. 
Un itinerario, senza dubbio, ancora da ipotizzare e costruire. 
Un altro futuro da inventare e forse un giorno di nuovo da raccontare con immutate dignità e 
compostezza formale e verbale. 
Shirin, Yergalum, Aminata dotate di ieratica presenza, sanno stare sul palcoscenico della vita di cui 
il teatro aspira ad esserne specchio fedele fin dalla notte dei tempi: eliminati gli altri personaggi del 
romanzo, per esigenze di riduzione dalla parola scritta a quella recitata, le tre protagoniste sanno 
“essere” anche, come in un coro greco, tutte le voci udite nella loro esistenza ferita recuperando la 
potente armonia tra un discorso privato e al tempo stesso collettivo. 
Gli spettatori, perpetuando e rinnovando il rito culturale del teatro, vengono posti di fronte ad una 
scelta consapevole di semplicità, come sinonimo di verità e non di semplificazione o povertà della 
messinscena, giacché quando nella vita reale si raccontano storie estremamente tragiche quali 
quelle vissute di Se questa è una donna, il senso del pudore si rafforza, si sublima ed evita di 
aderire ad un prodotto grandguignolesco, di certo più adatto alle tentazioni di un cinema di forte 
impatto. 

Voi ci vedete belle, nel fiore dei nostri anni. 
Ascoltate le nostre storie cosicché possiate dirci se abbiamo torto o ragione.
Voi ci vedete giovani, con la voglia di fare, la paura di non riuscire, ma l'incontenibile fretta di 
godere la vita.
Sentite ciò che abbiamo passato e credete in noi.

Sono consapevole della trasposizione in romanzo, pertanto su alcuni elementi quali il linguaggio, 
la gestualità, l'espressività ho lavorato evitando la vana pretesa di restituire su un palcoscenico la 
semplicistica imitazione di tre eroine contemporanee. Non nascondo (chi è del mestiere lo sa) che 
proporre un lavoro di forte impatto emotivo avrebbe coinciso con il percorrere una strada meno 
dissestata o quantomeno immediata... vincente a priori. Tuttavia a me e a Gabriele Sisci che, oltre 
a comporre le musiche, mi ha diretta realizzando un'opera a quattro mani, la seducente ipotesi si è 
squadernata subito come un vuoto esercizio accademico da cassare.Io non parlo le loro lingue, non 
conosco le loro musicalità, le loro ninne nanne, i loro paesaggi, i profumi e gli odori delle loro 
terre: ignoro i loro animi ed i veri pensieri infatti mi sono concessa di intuirli in punta di piedi con 
timore reverenziale.
Mi sono detta che non dovevo raccontare nuovamente la loro via crucis, ma percorrerla io stessa in
tre modi diversi secondo il mio linguaggio, il mio corpo, la mia modalità di muovermi in scena, la
mia voce essendo d'altronde me stessa l'unico “personaggio” teatrale che conosco meglio di 
qualsiasi altro.
Desidero presentare i tre lavori secondo la mia resa del sinistro ed enigmatico rapporto che 
intercorre tra langue e parole: demolito il primo filtro costituito dal romanzo indagabile anche 
secondo uno sguardo di genere, ho recuperato l'universalità delle storie concordando con l'autore 
sull'eroismo moderno di cui si ammantano Aminata, Shirin e Yergalum non lontano da altre parenti 
teatrali più classiche soprattutto della tragedia greca e figure spesso maledette, autoritarie, forti, 
ribelli e vincenti del secolo breve.
Essenza e non perfetta somiglianza, una sorta di motto-guida nella riscrittura drammaturgica e 
nell'interpretazione, questo il mio vero interesse: non una copia delle tre donne protagoniste, 
semmai una copia “originale”, come originali sono e saranno sempre i riassunti pluriprospettici 
della scena di strada di brechtiana memoria.
Mi sono detta che per essere Aminata, Shirin e Yergalum dovevo essere ancor di più me stessa ossia
una donna diversa dalle sue omologhe che hanno vissuto però una storia uguale, universale 
giacché innanzitutto umana, uno spettacolo di dolore, da pochi soldi dove le gesta sono davvero 
eroiche.
Le mie Aminata, Shirin, Yergalum sono dotate di straordinaria fantasia, camminano 
instancabilmente e coraggiosamente lungo un sentiero di amore, rivoluzione e politica nel senso 
pasoliniano del termine e, forti del loro sapersi personaggi inusuali, non vivono alla luce degli 
uomini, ma nella modestia, ostentano indistruttibile talento e come ogni grande donna sono piene 
di grazia. (Mariangela Imbrenda)

Mariangela Imbrenda e Gabriele Sisci che da ormai più di un anno seguono il lavoro di 
presentazione del mio libro e dibattito che ne segue , accompagnandolo con reading e letture 
perfettamente eseguite grazie alla loro professione di attori e una spiccata sensibilità sociale, 
hanno studiato e messo a punto una pièce teatrale molto suggestiva e profonda capace di 
comunicare efficacemente il messaggio del libro e del mio lavoro. (Luca Attanasio)

Gli spettatori hanno il privilegio e il dovere di incontrare ovvero vedere e ascoltare tre donne che 
rivivono in prima persona uno sconfinato, folle amore per la vita e la fuga quasi invasata perché 
disperata, verso un'intima idea di libertà: il titolo del romanzo e quello della pièce perdendo il 
sottinteso punto di domanda, si trasforma in asserzione.
Shirin, Yergalum, Aminata sono ancora donne.

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